Alfonso Rocchi
Alfonso rocchi e' nato il 9 giugno 1951 a Villa d'Ogna(BG),dove attualmente ha lo studio.
LA RAPPRESENT-AZIONE NELLA PITTURA DI ALFONSO ROCCHI
LA RAPPRESENT-AZIONE NELLA PITTURA DI ALFONSO ROCCHI
Parlare di pittura presuppone il forzare l’immagine all’interno di una modalità di rappresentazione che per sua natura non le appartiene. Immagini e parole seguono canali differenti di narrazione e forniscono racconti assai diversi intorno al mondo.
Per questo la parola intorno al quadro è necessariamente labile, precaria, frammentaria: non può essere, in nessun caso, definitoria o interpretativa, se non correndo il rischio di ingabbiare il quadro nel mondo culturale che abita la mente di colui che ne parla.
Accostandosi alla pittura di Rocchi, si rimane colpiti da qualcosa di cui oggigiorno si sente difficilmente parlare in ambito artistico, qualcosa di “innominato”, a cui tuttavia noi tutti aneliamo, ovvero la bellezza.
Sono quadri belli, prima ancora che simbolici, nutriti di archetipi, evocativi… sono innanzitutto belli.
La leziosità gioiosa di talune figure, il loro candore seducente, la femminilità che è tensione e ricerca ma al tempo stesso appagamento sono i volti della bellezza con cui l’artista ci intriga, ci ammalia ed agisce sul nostro mondo interiore.
“Il bello è ciò che piace universalmente senza concetto” disse Kant più di due secoli fa e forse proprio a quest’idea di una bellezza che sia tale non senza ma a prescindere dal concetto dovremmo tornare, per riscoprire il valore profondo, rituale e formativo, di un modo di essere umani che torni ad essere “universale”, ad avere la forza e la potenza del rito, che sia nuovamente capace di farci accedere al sacro.
Ogni opera dipinta è la materializzazione di una rappresentazione destinata all’altro, è al tempo stesso apprensione e restituzione del reale,anche se talvolta il rapporto con il reale può rimanere volontariamente nascosto o andare smarrito nella fruizione dell’opera.
Lo sguardo, attraverso gli occhi, raccoglie dati fisici sul mondo visibile. Di un quadro coglie ad esempio le forme, i colori, la disposizione spaziale degli oggetti, il movimento: tuttavia, il semplice disporre di queste informazioni non consente di conoscere ed interpretare il quadro, poiché il suo “significato” va oltre la dimensione percettiva, va oltre forme, colori, spazi presi singolarmente e scaturisce dall’interazione di ciò che si vede con la mente di colui che guarda, con il mondo interno di colui che osserva.
Già Matisse affermava che per l’artista “vedere è un’operazione creatrice che richiede un certo sforzo” e che si delinea come un configurare il mondo nell’atto stesso in cui lo si guarda. Andiamo oltre ed affermiamo che anche guardare un’opera d’arte è inevitabilmente un’operazione creatrice, poiché il quadro “diviene” e si manifesta non solo in relazione all’intenzionalità dell’artista ma anche in funzione dello sguardo del fruitore.
Il pittore inscena, dipingendo la tela, una “rappresent-azione”, ovvero un’azione che si rappresenta, si narra, affinché qualcuno, guardando, la veda: il quadro presuppone colui che lo guarda e ne gode, colui che è capace, tra gli altri, di trovarlo bello e di sceglierlo affinché divenga parte della sua vita, della sua storia.
I Greci possedevano una sola parola ed un solo concetto per definire l’arte e l’abilità manuale: tekné, a significare ed enfatizzare il ruolo del fare nella genesi dell’arte, fare che noi qui ora interpretiamo come animato da una duplice fiamma, quella prassica e concreta del dipingere il quadro e quella della “rappresent-azione” connessa al fare simbolico dell’intenzionalità che si dispiega.
La percezione dell’opera d’arte non può in questa prospettiva essere considerata solamente un fatto individuale; se la rappresentazione è un fatto sociale è sociale anche la fruizione e si configura come costruzione di senso insieme all’artista che, dipingendo la sua opera, ha scelto di destinarla all’altro affinché la guardasse e ne fruisse.
L’artista non è vita incarnata, è un concetto. Abbiamo costruito attorno al mondo una rete di riferimenti, una cornice culturale che aveva originariamente la funzione di avvicinarci alla comprensione del mondo, ma abbiamo commesso l’errore di scambiare la rete di riferimenti per il mondo. E’ al mondo che dobbiamo tornare e la pittura, come apertura nei confronti della bellezza e della sacralità può aiutarci a realizzare questo ritorno; l’artista diviene allora guida, apertura alla bellezza che abita il mondo.
Forse è questo il motivo per cui le opere di Alfonso Rocchi continuano ad affascinarci, perché nelle sue figure di donna, così spesso rappresentate e ritratte nell’atto di abbozzare un sorriso, la bocca schiusa, l’espressione vaga e lo sguardo talvolta perso in un altrove, troviamo sì l’alterità della pittura rispetto al mondo ma anche la sua imprescindibile vicinanza alla nostra psiche, al nostro mondo interiore. I volti di quelle donne, nella loro bellezza, ci ricongiungono al mondo, ne mostrano la bellezza, ci aiutano a desiderarla in noi ed a riconoscerla e rispettarla fuori di noi.
Delfina Maffeis
FINALISTA DEL "PREMIO ARTE MONDADORI 1992" e
FRA I VINCITORI DEL" PREMIO ARTE MONDADORI 2000"
also here
Alfonso Rocchi